Gesualdo e la Fontana più bella del Principato Ultra,il nuovo studio del ricercatore Rossano Grappone
Nel cuore dell’Ottocento il Principato Ultra (o Ulteriore) costitutiva una divisione amministrativa del Regno delle due Sicilie, corrispondente grosso modo alla regione storico-geografica dell’Irpinia. La cittadina di Gesualdo era ricompresa in essa, ricadendo precisamente nel mandamento di Sant’Angelo dei Lombardi. Dando vita l’Intendenza di Avellino (l’allora Provincia) ai lavori di risistemazione della via Appia, nel tratto in cui questa si distaccava da Eclano per inoltrarsi nella valle d’Ansanto, le comunità interessate cominciarono a fiutare le possibilità di sviluppo legate all’avvio dei nuovi lavori stradali. Rafforzandosi l’assetto viario principale, con l’eliminazione di una pluralità di intoppi ed impedimenti, si sarebbero intensificati i “passaggi”, si sarebbe intensificata cioè la mobilità di persone e merci, con conseguente incremento delle relazioni economiche. Una grossa opportunità insomma per i piccoli centri che, con la pianificazione di vie traverse ampie e regolari, avevano l’occasione adesso di ricollegarsi alla strada primaria, dirottandone parte del “traffico”.
Che ciò comportasse un ripensamento interno delle attività di produzione, scambio e vendita, almeno in luoghi deputati, ad esempio gli spazi adibiti a fiera, è piuttosto scontato pensarlo; ed è piuttosto facile immaginare l’entusiasmo che dovette riguardare chi gestiva servizi di accoglienza, dal vettovagliamento al pernottamento, con il relativo indotto. Più difficile, invece, è raffigurarsi un movimento ulteriore che accompagnò questa fase di transizione e che oggi definiremmo di tipo culturale. Mi riferisco, da un lato, al movimento politico-amministrativo, dall’altro lato, a quello politico-sociale che si tradusse nel ripensamento complessivo dell’urbanistica cittadina, all’interno del quale questioni tecniche e di pubblica utilità (come il rifacimento di un acquedotto) si incrociavano con questioni di natura artistica o estetica (come la bellezza di fontane atte a testimoniare l’abbondanza di acque sorgive).
È il merito del nuovo studio di Rossano Grappone che, da autentico ricercatore, portando alla luce una documentazione archivistica preziosa e finora del tutto inedita, 2 riesce a raccontare sì un’esperienza specifica, illustrando di questa numerosi dettagli, ricavandone però nel contempo qualcosa di più ampio: un libro sull’importanza dei monumenti e sulle infinite storie che gli stessi sono in grado di raccontarci se solo ci si mette all’ascolto. Capita così che la Fontana monumentale di Gesualdo, tra i simboli riconosciuti del paese e un tempo della provincia, diventi sia il presupposto per scoprire un’infinità di temi legati alla vita comunitaria dell’entroterra meridionale di metà Ottocento sia il pretesto per entrare a gamba tesa nell’attualità, discutendo proficuamente sui percorsi che è doveroso compiere in ordine alla tutela e conservazione, valorizzazione e fruizione di beni culturali che, definiti formalmente come minori, in realtà non lo sono affatto. Rossano Grappone segue uno schema logico stringente, scandito dalla cronologia dei suoi documenti, restituendoci molteplici aspetti meritevoli di attenzione. Provo a sintetizzarne alcuni di portata generale. Il racconto prende le mosse da una data precisa, il 5 luglio 1829, allorquando l’Amministrazione di Gesualdo approvò la costruzione della strada di collegamento che dal centro del paese conduceva alla via Appia (oggi via Otica), deliberando altresì il rifacimento dell’acquedotto comunale. Se ne ricava innanzitutto una considerazione dolceamara sul mondo complesso – e spesso contraddittorio – dei lavori pubblici, da sempre croce e delizia delle comunità.
Delizia, in quanto i lavori pubblici (a metà ‘800 certo non frequenti) rappresentavano una fonte tanto durevole quanto cospicua di reddito e sostentamento per la manovalanza locale; croce, giacché questo risultato era raggiunto con grave dispendio da parte delle amministrazioni obbligate a destreggiarsi tra autorizzazioni superiori e ritardi burocratici, tra affidamenti diretti ed ingerenze esterne, oltre a doversi confrontare quotidianamente con lo stato di salute delle casse individuali. Il recupero e la manutenzione delle strade regie, infatti, prevedeva una quota di partecipazione a carico dei comuni beneficiari, già costretti a pagare in proprio perizie e progetti preliminari per l’ammodernamento della viabilità interna. Sotto questo aspetto, la storia politico-amministrativa dei nostri paesi potrebbe essere narrata per il tramite delle difficoltà di bilancio, acuite da una lunga catena di imprevisti finanziari, che però non mancano di riservare sorprese a dir poco curiose. A fronte, ad esempio, della necessità di imporre nuovi dazi e gabelle, è possibile riferire dell’abilità amministrativa nell’individuare i generi alimentari da “colpire”, salvaguardando per quanto fosse consentito situazioni di indigenza o disagio. E se lo storico delle istituzioni sarà interessato a conoscere nel profondo le modalità di riscossione di siffatte imposte, lo storico sociale studierà con maggiore attenzione il meccanismo secondo il quale dazi e gabelle riescono a trasformarsi finanche in strumenti di consenso, insieme ad un intenso volontariato locale desideroso di affrettare – nell’interesse generale della collettività – la conclusione di opere pubbliche altrimenti interminabili.
Con il libro di Rossano Grappone inoltre si entra nel campo vivo e movimentato dei sentimenti, partecipando del tumulto emotivo che per forza di cose s’accompagnò alla riconsiderazione effettiva di interi contesti di vita. Si pensi alle accese discussioni che dovettero coinvolgere in animati confronti i fautori del restauro di vecchie fontane, con scomposizione e ricomposizione di pietre in travertino, e i sostenitori della costruzione ex novo mediante l’utilizzo di materiali alternativi, quale il prezioso alabastro estraibile da cave presenti sul territorio; si pensi alla selezione degli esecutori, dividendosi la scelta tra architetti o ingegneri progettisti e rinomati artisti o scultori; si pensi, ancora, al reimpiego dei materiali di risulta oppure alla necessità di preservare o quantomeno non stravolgere lo stato dei luoghi. Si tratta, sotto diverso angolo visuale, di una galleria ben nutrita di personaggi che l’autore restituisce al ruolo di amministratori (ad esempio, il sindaco Felice Catone), 3 di progettisti (l’architetto Roca e l’ingegnere Panico), di artisti (come lo scultore Felice Caggiano, cui il lettore si sente subito affezionato). Ma accanto a questi Grappone colloca, ed è qui il valore aggiunto della sua opera, una schiera di persone senza nome: scalpellini, muratori, levigatori, marmisti, trasportatori, lavoratori a cottimo, volontari ante litteram che possono rivivere solo nella ricostruzione dei contesti di cui furono parte, delle relazioni di cui furono artefici, riversandosi – se così si può dire – in ciò che noi amiamo definire “patrimonio culturale”. Quindi il libro di Rossano ci carica di una responsabilità enorme: accostarci ai monumenti visti e considerati come somma di sguardi, mani e sentimenti, di reazioni, discussioni e proposte, di sudore, fatica e speranza, magari di sogni, di quanto insomma le generazioni precedenti ci hanno lasciato in eredità affinché noi fossimo migliori. E per esserlo davvero basterebbe forse riconoscere semplicemente tutto ciò. Grappone, per la verità, mette a disposizione adesso schede, disegni, progetti e descrizioni utili per chi – sul piano amministrativo – vorrà avviare discorsi di recupero e valorizzazione di un monumento che in maniera unanime – alla fine degli anni Quaranta dell’Ottocento – fu definito come “la Fontana che non ha eguali in Provincia”, “singolare per bellezza ed eleganza”, grazie “ai colori e alla trasparenza dell’alabastro gesualdino”. Ma al di là di tale aspetto strettamente identitario, ci si augura che questo studio sia il primo di una lunga serie propedeutica allo sviluppo di un movimento più esteso: una rete editoriale di cittadini attivi dediti in Italia alla cura dei beni comuni intesi per quello che essi effettivamente sono, elementi decisivi per avviare processi di riqualificazione e rinascita delle comunità.
Giuseppe Mastrominico