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Fra spago e chiodi, la storia di Loreno Capozzi, l’ultimo mastro calzolaio di Bagnoli

Bagnoli -  Lorenzo Capozzi, classe 1935, è l’ultimo di una lunga schiera di mastri calzolai bagnolesi. Quella del calzolaio è un’antica arte, oggi quasi scomparsa, di adattare il cuoio al piede. Quest’attività racchiude in sé tanti mestieri: modellista, tagliatore, orlatore, suolatore. Ogni scarpa è un pezzo unico, ogni pezzo viene costruito intorno al piede e ne riproduce fedelmente la forma e le eventuali anomalie. Oggi questa antica arte, indispensabile fino a qualche decennio fa, sta lentamente, ma progressivamente scomparendo, spazzata via dalla società del consumismo, dove un paio di scarpe si fa prima a buttarlo piuttosto che a ripararlo. Lorenzo Capozzi a Bagnoli è l’ultimo mastro calzolaio ancora in attività. Alla soglia dei novant’anni, trascorre le sue giornate ad aggiustare scarpe più per passatempo che per un reale guadagno. Prima di mostrarci la sua piccola bottega, situata nel cuore del centro storico bagnolese, ci tiene a precisare che lui è un calzolaio, ovvero colui che produce e ripara le calzature, da non confondere con il ciabattino che invece le scarpe le ripara soltanto. “Ho iniziato a imparare questo mestiere – afferma con orgoglio Lorenzo- nel 1952. Andavo a lavorare saltuariamente come garzone da Vincenzo Pallante detto “lu Reppo”, uno dei migliori mastri calzolai dell’epoca a Bagnoli. Vincenzo aveva la bottega in prossimità della piazza. Ho lavorato saltuariamente come garzone per circa cinque anni, dal 1952 al 1957, poi nel novembre del ’58 ho aperto una mia bottega in piazza Di Capua, dietro la chiesa di S. Margherita, dove ho lavorato ininterrottamente fino al ’93 anno in cui sono andato in pensione. Ho imparato questo mestiere per necessità, a quei tempi solo qualche famiglia facoltosa si poteva permettere il lusso di far studiare i figli, la maggior parte dei ragazzi invece andava ad imparare un mestiere. A quei tempi poi il calzolaio era uno dei mestieri più redditizi, non essendoci negozi di scarpe come oggi, ogni famiglia, che era composta minimo da sette persone, era costretta ad andare dal calzolaio per farsi fare un paio di scarpe o semplicemente per farle aggiustare. Per rendere l’idea basti pensare che alla fine degli anni’50 c’erano circa tredici botteghe di calzolai a Bagnoli”. Il racconto di Lorenzo è accompagnato dalla dimostrazione degli gli attrezzi del mestiere. Mostra gli oggetti che negli anni lo hanno accompagnato nel suo mestiere e ne spiega la funzionalità. “Gli attrezzi del mestiere erano pochi ed essenziali, principalmente si usava “l’ assùglia” (lesina) che veniva usata per creare i buchi in cui si inseriva il ferretto con lo spago e si cuciva la “Chiantella” (suoletta) al “guardione” (tomaio); “la manopola”, invece era una striscia di pelle a forma di mezzo guanto, la quale il calzolaio la usava per fasciarsi il dorso della mano sinistra dove si avvolgeva lo spago. Si usava per cucire la suola; “Il martello”, quello più comune è detto regolare e si compone di due parti: una testa, alquanto bombata e ben liscia, usata per battere il cuoio, conficcare le “centre” (chiodi), la parte opposta più allungata e sottile serviva per fare aderire bene la suola al tomaio; La raspa veniva utilizzata invece per sgrossare la suola; Il “catino” (vetro sottile) invece per lisciarla; C’ erano poi la “forma” che era un pezzo di legno a forma di piede dove si cuciva la scarpa; il coltello, la tenaglia a morsa e il piede di porco”.


Da buon calzolaio, Lorenzo di scarpe ne ha realizzate tante. Famosi a Bagnoli fino a qualche decennio fa erano i cosiddetti “cianfitti”, scarpe utilizzate sia dagli uomini che dalle donne per i lavori nei campi, e dai pastori in montagna. “Per realizzarle -prosegue Lorenzo- ad essere lento, occorrevano un paio di giorni, andavano dal numero 34 al 45 e molte parti tipo la “chiantella” (soletta), il “guardione” (tomaia) o la “sòla” (suola) le tenevo già preparate e catalogate per numero. Quando poi qualcuno le richiedeva, in base al numero prendevo la “forma” corrispondente al numero e iniziavo a cucire le varie parti. Costruita la scarpa la si rifiniva inchiodando la sola, ingrassandola con la sugna”. I cianfitti non erano gli unici modelli da realizzare, richiestissime erano infatti i sandaletti, scarpe adatte per i più piccoli. “I sandaletti erano scarpe utilizzate soprattutto dai bambini e dai ragazzini, andavano dal numero 27 al 34, c’è da dire che la maggioranza delle persone negli anni ’50 aveva solo un paio di scarpe, che usava tutti i giorni che fossero lavorativi o festivi”. Il tempo trascorre veloce fra aneddoti e curiosità, fra il ricordo di persone che non ci sono più e di episodi dimenticati da tutti. Entrare nella sua bottega è come fare un salto nel tempo, un tempo che non ritornerà più, eppure Lorenzo continua a tenerlo in vita nella mente e nei gesti. Le sue scarpe sono pagine di storia. 

                                                        Giulio Tammaro